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TORQUATO ACCETTO

 

 

 

 

Della Dissimulazione Onesta

 

 

 

 

L'autor a chi legge

 

             A questo mio trattato io pensava di aggiunger alcune altre mie proseperché 'l volumeche ha difetto nella qualitàfosse in qualcheconsiderazione per merito della quantità; ma per molt'impedimenti non è statopossibilee spero di farlo tra poco tempo

 

                           Edita ne brevibus pereat mihi charta libellis

 

come disseMarziale. Né solo m'occorre di significar questo alla benignità di chi leggema piú espressa la mia intenzione intorno alla presente faticaancorché nelprimo capitolo della medesima opera io l'abbia detto: affermo dunque che 'l miofine è stato di trattar che 'l viver cauto ben s'accompagna con la puritàdell'animoed è piú che cieco chi pensa che per prender diletto della Terras'abbia d'abbandonar il Cielo. Non è vera prudenzia quella che non èinnocentee la pompa degli uomini alieni dalla giustizia e dalla verità non puòdurarecome spiegò il re David dell'empio ch'egli vide innalzato simile a'cedri di assai famoso monte; da che conchiude:

 

                           Custodi innocentiam et vide aequitatem

             quoniam sunt reliquiae homini pacifico.

 

             Cosí è amator di pace chi dissimula con l'onesto fine che dicotollerandotacendoaspettandoe mentre si va rendendo conforme a quanto glisuccedegode in un certo modo anche delle cose che non haquando i violentinon sanno goder di quelle che hannoperchénell'uscir da se medesiminon siaccorgono della strada ch'è verso il precipizio. Quelli che hanno veracognizione dell'istorie potranno ricordarsi del termine a che si son condottigli uomini alli quali piacque di misurar i loro consigli con sí fatta vanitàe da quanto va succedendo si può veder ogni giorno il vantaggio del proceder apassi tardi e lentiquando la via è piena d'intoppi. Da questa considerazionemi mossi a trattar di tal suggettoe mi son guardato da ogni senso di malcostumeprocurando pur di dir in poche parole molte cose; e se in questamateria avessi potuto metter nelle carte i semplici cennivolentieri per mezzodi quelli mi averei fatto intendereper far di meno anche di poche parole. Haun anno ch'era questo trattato tre volte piú di quanto ora si vedee ciò ènoto a molti; e s'io avessi voluto piú differire il darlo alla stampasarebbestata via di ridurlo in nullaper le continue ferite da distruggerlo piúch'emendarlo. Si conosceranno le cicatrici da ogni buon giudizioe saròscusato nel far uscir il mio libro in questo modoquasi esangueperché loscriver della dissimulazione ha ricercato ch'io dissimulassie però siscemasse molto di quanto da principio ne scrissi. Dopo ogni sforzo di ben serviral gusto publicoio conosco di non aver questoné altro valoree solo hosperanza che sarà gradita la volontà. In questa è l'uomoe già disseEpicteto stoico: “Quandoquidemnec caro sisnec pilised voluntas”.

Viva felice.

 

I. Concetto di questo trattato

 

                  Da che 'l primo uomo aperse gli occhie conobbe ch'era ignudoprocuròdi celarsi anche alla vista del suo Fattore; cosí la diligenza del nasconderequasi nacque col mondo stessoed alla prima uscita del difettoed in moltièpassata in uso per mezzo della dissimulazione; ma considerando l'odio che sitira appresso chi mal porta questo veloe che nel bel sereno della vita non sidee dar luogo all'importuna nebbia della menzognala qual in ogni modo convienche resti esclusaho deliberato di rappresentar il serpente e la colombainsiemecon intenzion di raddolcir il veleno dell'uno e custodir il candordell'altra (come sta espresso in quelle divine parole: “Estote prudentes sicutserpenteset simplices sicut columbae”)importando a ciascuno che comandi oche ubbidisca il valersi d'industria tanto potente tra le contradizzioni chespesse volte s'incontrano; e benché molti intendano meglio di me questamateriapenso non di meno di poterne significar il mio pareree tanto piúquanto mi ricordo il danno che averebbe potuto farmi lo sfrenato amor di dir ilverodi che non mi son pentito; ma amando come sempre la veritàprocurerònel rimanente de' miei giorni di vagheggiarla con minor pericolo.

 

 

II. Quanto sia bella la verità

 

             Prima che la vista si disvii nel cercar l'ombre che appartengono all'artedel fingerecome quella che nelle tenebre fa i piú belli lavorisi consideriil lume della veritàper prender licenza di andar poi un poco da partesenzalasciar l'onestà del mezzo. Il vero non si scompagna dal beneed avendo il suoproprio luogo nell'intellettocorrisponde al bene ch'è riposto nelle cose; népuò la mente dirizzarsi altrove per trovar il suo finee se 'l vulgo si reputafelice in quello che appartiene al sensoed i politici nella virtú onell'onorei contemplativi mettono il loro sommo bene in considerar l'Idee cheson nel primo grado della veritàla qual in tutte le cose è la proprietàdell'essere a quelle stabilitoperché in tanto son vere in quanto son conformial divino intelletto; ma Dio se stesso ed ogni cosa intendee l'esser divinonon solo è conforme al divino intellettoma in sostanza è lo stesso: onde Dioè la verità medesimach'è misura di ogni veritàessendo prima causa ditutte le cosee quelle son nella mente divinaloro principio esemplare; edalla verità divinach'è unarisulta la verità multiplicata nel creatointellettodove la verità non è eterna se non quanto si riduce in Dio perragion di esempio e di causanella qual ritornan tutte le sostanzie e gliaccidenti e le lor operazioni: e come in Dio è immutabileperché il suointelletto non è variabile e non cava altronde la veritàma il tutto conoscein se stessocosí nella mente creata è mutabilepotendo questa passar dalvero nel falsosecondo il corso dell'opinioni; orestando la medesimaopinionemutarsi la cosa. Sol dunque nell'eterna luce il vero è sempre vero:in quella prima luce che tanto si leva da' concetti mortaliinternandosi nelsuo profondocon nodo d'amoretutto quello che si spande per l'universo; e lavera bellezza è nella verità stessae fuor di quella sol quanto di làdipende. Ma questo è piú luogo da considerar la verità moralecon che l'uomotal si dimostra qual è; ond'orlasciando il discorrer per que' chiari abissidel primo verotoccherò quest'altra parte che tanto appartiene alla nostraumanitàper renderla fortee sinceramentre l'adorna di ogni abito gentileo (per dir piú espresso) la va spogliando di que' veliche son fatti di manopropria della fraudeche ingombra l'anima di cosí duri impaccie ne fasospirar quel secoloche tra gli altri beni fu chiamato d'oro per la veritàla qual con dolcissima armonia metta tutte le parole sotto le note de' cuoripoiché notie quasi fuor de' pettiin ogni discorso si sentivano impressi. Èchiaro che anche per altri rispetti furo onorati quegli anni con sí gloriosonomeed in particolar fu secolo d'oro perché non ebbe bisogno d'oroeprendendo dalle semplici mani della natura il cibo e la vesteseppe trovar ne'boschi stanza civilenon bramando piú caro tetto che 'l cieloné piú sicuroletto che la terrasí che gli uffici del tempo ed i servigi degli elementi siriscontravano negli animi ben disposti all'intelligenza del piacer fermo; matutte queste sodisfazzioni sarebbono state invanose la verità non fosseandata per le bocche di quella pur troppo bene avventurata gentese non fossestata scritta nel candore di que' magnanimi petti con caratteri (benchéinvisibili) di buona corrispondenza; però non bisognava che 'l síe 'l nosimenasse i testimoni appresso. L'amico parlava all'amicol'amante all'amantenon con altra mente che di amicizia e di amore. Alla verità si ubbidiva perchéella invitava ciascuno a dimostrarsi senza nubee cosí si rappresentava l'auqecastozch'è il verace ne' dettie ne' fattiin considerar in vero ch'è di suanatura onesto; ed essendo egli filalhthzama il vero

nonper ragion di utile o per

solointeresse d'onorema

perse stessoed ha piú

occasionedi amarlo

quandovi s'ag-

giungela salu-

tedella re-

publicao

dell'a-

mico.

 

 

III. Non è mai lecito di abbandonar la verità

 

 

                  Non tanto la natura fugge il vacuoquanto il costume dee fuggir ilfalsoch'è il vacuo della favella e del pensiero: “dicere enim et opinarinon entiahoc ipsum falsum estet orationi et cogitationi contingens”dicePlatone. Non si può permetter che della menzogna (considerata secondo sestessa) appena un neo si lasci veder nella faccia dell'umana corrispondenza; edi piúquando il vero non par di esser veroconvien di tacerecome affermaDante:

 

                  <...> a quelver(o) c'ha faccia di menzogna

             dee l'uom chiuder le labbra quant'ei puote

             però che senza colpa fa vergogna.

 

             Bisogna dunque di volger gli occhi alla luce alla luce del vero prima dimuovere la lingua alle parole; ma come fuor del mondo si concede quello che da'filosofi è nominato vacuum impropriumdove si riceverebbe lo strale chesi vibrasse da chi fusse nell'estrema parte del cielocosí l'uomoch'è unpicciol mondoha talora fuor di sé un certo spazio da chiamarsi equivoconongià inteso come semplice falsoa fine di ricever in quelloper cosí direlesaette della fortunaed accommodarsi al riscontro di chi piú vale ed anche piúvuolein questo corso degli umani interessi; e dico che ciò avviene fuor di séperché niunoil qual non abbia perduto il bene dell'intellettoha persuaso sestesso al contrario del suo concetto che sia da lui appreso con la ragion inatto; onde a questo modo non si può far inganno a se medesimopresupposto chela mente non possa mentire con intelligenza di mentire a se stessaperchésarebbe veder e non vedere; si può nondimeno tralasciar la memoria del propriomaleper qualche spaziocome dirò; ma dal centro del petto son tirate lelinee della dissimulazione alla circonferenza

diquelli che ci stanno in-

torno.E qui bisogna il ter-

minedella prudenza che

tuttaappoggiata al ve-

ronondimeno a luo-

goe tempo va ri

tenendoo di-

mostrandoil

suosplen-

dore.

 

 

IV.La simulazione non facilmente riceve quel senso onesto che si accompagna con ladissimulazione

 

 

                  Io tratterei pur della simulazionee spiegherei appieno l'arte delfingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di malnomeche stimo maggior necessità il farne di meno; e benché molti dicano:“Qui nescit fingere nescit vivere”anche da molti altri si afferma che siameglio morireche viver con questa condizione. In breve corso di giorni o d'oreo di momenticom'è la vita mortalenon so perché la medesima vita si abbiada occupar a piú distrugger se stessaaggiungendo il falso delle operationidove l'esser quasi non è; poiché la vera essenziacome disse Platoneèdelle cose che non han corpochiamando imaginaria l'essenzia di ciò ch'ècorporeo. Basterà dunque il discorrer della dissimulazionein modo che siaappresa nel suo sincero significatonon essendo altro il dissimulareche unvelo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti: da che non si forma ilfalsoma si dà qualche riposo al veroper dimostrarlo a tempo; e come lanatura ha voluto che nell'ordine dell'universo sia il giorno e la nottecosíconvien che nel giro delle opere umane sia la luce

el'ombradico il proceder

manifestoe nascostocon-

formeal corso della ra-

gionech'è regola

dellavita e degli

accidentiche

inquella oc-

corrono.

 

 

V. Alcuna volta è necessaria la dissimulazionee fin a che termine

 

                  La frode è proprio mal dell'uomoessendo la ragione il suo benedi chequella è abuso; onde nasce ch'è impossibile di trovar arte alcunache lariduca a segno di poter meritar lode: pur si concede talor il mutar mantopervestir conforme alla stagion della fortunanon con intenzion di farema di nonpatir dannoch'è quel solo interesse col quale si può tollerar chi si suolvalere della dissimulazioneche però non è frode; ed anche in senso tantomoderatonon vi si dee poner mano se non per grave rispettoin modo che sielegga per minor maleanzi con oggetto di bene. Sono alcuni che si trasformanocon mala piega di non lasciarsi mai intendere; e spendendo questa moneta conprodiga mano in ogni picciola occorrenzase ne trovano scarsi dove piúbisognaperché scoperti ed additati per fallacinon è chi loro creda. Questoè per avventura il piú difficile in tal industria; perchése in ogni altracosa giova l'uso continuonella dissimulazione si esperimenta il contrariopoiché il dissimular sempre mi par che non si possa metter in pratica di buonariuscita. È dunque dura impresa il far con arte perfetta quello che non si puòessercitar in ogni occasionee però non è da dir che Tiberio fosse moltoaccorto in questo mestieroancorché da molti si affermi; e ciò consideroperchédicendo Cornelio Tacito: “Tiberioque etiam in rebus quas nonocculeretseu natura seu adsuetudinesuspensa semper et obscura verba”; nonsolo disse prima: “plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat”maconchiude: “At patresquibus unus metussi intelligere viderentur”ecc.;ecco che si accorgeano chiaramente della sua intenzion in quelli continuiartifici. In sostanza il dissimular è una professione della qual non si puòfar professionese non nella scola del proprio pensiero. Se alcuno portasse lama-

scheraogni giornosarebbe

piúnoto di ogni altro

perla curiosità di tutti;

madegli eccellenti

dissimulatoriche

sonostati e so-

nonon si ha

notiziaal-

cuna.

 

 

VI. Della disposizione naturale a poter dissimulare

 

 

                  Quelli in chi prevale il sangue o la malinconia o la flemma o l'umorcollericoè molto indisposto a dissimulare. Dove abbonda il sangueconcorrel'allegrezzala qual non sa facilmente celareessendo troppo aperta per suapropria qualità. L'umor malinconicoquando è fuor di modosi fa tanteimpressioniche difficilmente le nasconde. Il soverchio flemmaticoperché nonfa gran conto de' dispiaceriè pronto ad una manifesta tolleranzia; e lacollerache è fuor di misuraè troppo chiara fiammada dimostrar i propriisensi. Il temperato dunque è molto abile a questo effetto di prudenzaperchéha da essernelle tempeste del cuoretutta serena la faccia; oquando ètranquillo l'animoparer turbato il visocome anderà richiedendo l'occasione;e ciò non è facilese non al temperamento che dico. Non voglio contradirall'opinione di que' che sogliono attribuir a certi popoli la disposizione deldissimulare ead altristimarla quasi impossibile; ma ben posso dire cheinogni paeseson di quelli che l'hanno e di que' che non vi si sanno accommodare;ma piú è certo che gli uomini non nascono con gli animi legati a necessitàalcunaonde libera la volontà si gira all'elezzione; e ciò leggiadramente fuespresso da Dante in que' versi:

 

                  Voi che vivete ognicagion recate

             pur suso al cielosí come se tutto

             movesse seco di necessitate.

             

             Se cosí fossein voi fora distrutto

             libero arbitrioe non fora giustizia

             per ben letiziae per mal aver lutto.

             

             Il cielo i vostri movimenti inizia;

             non dico tuttimaposto che 'l dica

             lume v'è dato a bene e a malizia

             

             e libero voler; chese fatica

             ne le prime battaglie del ciel dura

             poi vince tuttose ben si nutrica.

             

             A maggior forza e a miglior natura

             liberi soggiacete; <e> quella cria

             la mente in voiche 'l ciel non ha in sua cura.

 

 

VII. Dell'esercizio che rende pronto il dissimulare

 

 

             Da chi ha per non plus ultra le porte delle natie contradeo cheda' libri non apprende il lungo e 'l lato del mondoe' suoi vari costumicondifficultà si viene al consiglio della dissimulazione; perché in persona cosímolle e poco intendenteriesce molto dura questa praticala qual contienel'esser d'assai e talora parer da poco: è dunque conforme a questo abito chinon s'è tanto ristrettopoiché dal conoscer gli altri nasce quella pienaautorità che l'uomo ha sopra se stesso quando tace a tempoe riserba pur atempoquelle deliberazioni che domane per avventura saranno buoneed oggi sonoperniziose. Chiaro è che 'l viaggio per diversi paesicome Omero cantò diUlisse“qui mores hominum multorum vidit et urbes”o l'aver letto edosservati molti accidentiè cagion potente a produrre una gentil disposizionedi metter freno agli affettiacciò che non come tirannima come soggetti allaragioneed a guisa di ubbidienti cittadinisi contentino ad accommodarsi allanecessitàdella quale disse Orazio:

 

                  Durumsed leviusfit patientia

             quicquid corrigere est nefas.

 

             Sí che tant'altezza di spirito si accresce per mezzo della vita occupatanegli affari del mondoe nella considerazione del tempo passatoper noncontradir al presente e poter far giudicio dell'avvenire. Stando la mente cosísodisfattanon le parrà nuova qual si sia mutazio-

neche le si vada rappresen-

tandoed in conseguenza

dipenderàda leie non

dalprecipizio del

sensol'espres-

siondi quan-

tole suc-

cede.

 

 

VIII. Che cosa è la dissimulazione

 

 

                  Da poi che ho conchiuso quanto conviene il dissimularedirò piúdistinto il suo significato. La dissimulazione è una industria di non far vederle cose come sono. Si simula quello che non èsi dissimula quello ch'è. DisseVirgilio di Enea:

 

             Spem vultu simulatpremit altum corde dolorem.

 

                  Questo verso contiene la simulazion de la speranza e la dissimulazionedel dolore. Quella non era in Eneae di questo avea pieno il petto; ma nonvolea palesar il senso de' suoi affanni: ricordava però a' compagni l'aversofferti piú gravi malie nominando la rabbia di Scilla e lo strepito degliscogli ed i sassi de' Ciclopise ne valse come per sepellir tra que' mostrietra quelle passate ruinetutte le rie venture che lor già davan noia; e coldolcissimo “meminisse iuvabit”conchiude:

 

                  Per varios casusper tot discrimina rerum

             tendimus in Latiumsedes ubi fata quietas

             ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae.

             Durateet vosmet rebus servate secundis.

 

                  Ma in ogni modo l'animo era feritoe troppo dolenteperché “Taliavoce refert curisque ingentibus aeger.” Si vede in questi versi l'arte dinasconder l'acerbità della fortunae prima fu espresso da Omero come da Ulissesi dissimulava il dolorequando in altra figura dava di se stesso nuova allasua Penelope; della qual disse:

 

                  Hac autem<iam> audiente fluebant lacrymaeliquefiebat autem corpus

             sicut autem nix liquefit in altis montibus

             quam Eurus liquefecitpostquam Zephyrus defusus est

             liquefacta autem igitur hacfluvii implentur fluentes:

             sic huius liquefiebant pulchrae genae lachrymantis

             flentis suum virum assidentem. At Ulysses

             animo quidem lugentem suam miserabatur uxorem.

             Oculi autem tanquam cornua stabant vel ferrum.

             Tacite in palpebris dolo autem hic lachrymas occultabat.

 

                  Ecco la prudenza con che Ulisse mettea freno alle lagrimequando eratempo di nasconderle; e la comparazion di liquefarsi Penelopecome la nevemidà occasione di soggiunger quello che sia l'umido e 'l seccodicendoAristotile: “humidum est quod suo ipsius termino contineri non potest; facileautem termino continetur alieno. Siccum est quod facile suodifficulter autemtermino terminatur alieno”. Da che si può apprender che il dissimular ha delseccoperché si ritien nel proprio termine; e questi son gli occhi di Ulisserassomiliatiin tempo di dolorealla fermezza del corno e del ferroquandoque' di Penelope eran molli e non avean termine prescrittoconforme a quellech'eran versate nell'animo di Ulissetenendo il

ciglioasciuttoed a questo

parche corrisponda

quellasentenza di

Eraclito:“Lux

siccaanima

sapientissi-

ma”.

 

 

IX. Del bene che si produce dalla dissimulazione

 

 

                  Presupposto che nella condizion della vita mortale possano succeder moltidifettisegue che gravi disordini siano al mondo quandonon riuscendo diemendarlinon si ricorre allo spediente di nasconder le cose che non han meritodi lasciarsi vedereo perché son brutte o perché portan pericolo di produrrebrutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene agli uominise pur si considera lanatura per tante altre opere di qua giúsi conosce che tutto il bello non èaltro che una gentil dissimulazione. Dico il bello de' corpi che stanno soggettialla mutazionee veggansi tra questi i fiorie tra' fiori la lor reina; e sitroverà che la rosa par bellaperché a prima vista dissimula di esser cosatanto caducae quasi con una semplice superficie di vermigliofa restar gliocchi in un certo modo persuasi ch'ella sia porpora immortale; ma in brevecomedisse Torquato Tasso:

 

                  quella non par chedisiata avanti

             fu da mille donzelle e mille amanti;

 

perchéla dissimulazione in lei non può durare. E tanto si può dir di un volto diroseanzi di quanto per la terra riluce tra le piú belle schiere d'Amore; ebenché della bellezza mortale sia solito dirsi di non parer cosa terrenaquando poi si considera il verogià non è altro che un cadavero dissimulatodal favor dell'etàche ancor si sostiene nel riscontro di quelle parti e dique' colori che han da dividersi e cedere alla forza del tempo e della morte.Giova dunque una certa dissimulazion della naturaper quanto si contiene tra lospazio degli elementidov'è molto vera quella proposizione che afferma di nonesser tutt'oro quello che luce; ma ciò che luce nel Cielo ben corrispondesempreperché ivi tutte le cose son belle dentro e fuori. Orpassandoall'utile che nasce dalla dissimulazione ne' termini moralicomincio dalle coseche piú bisognanodico dall'arte della buona creanzala qual si riduce nelladestrezza di questa medesima diligenza. E leggendosi quanto ne scrisse monsignordella Casasi vede che tutta quella nobilissima dottrina insegna cosí

diristringer i soverchi di-

sideriiche son cagion di

attinoiosicome il mo-

strardi non veder gli

errorialtruiac-

ciòche la con-

versazione

riescadi

buon

gusto.

 

 

X. Il diletto ch'è nel dissimulare

 

 

                  Onesta ed util è la dissimulazionee di piúripiena di piacere; perchése la vittoria è sempre soavee come disse Ludovico Ariosto

 

                  Fu il vincer sempremai lodabil cosa

             vincasi per fortuna o per ingegno

 

èchiaro che 'l vincer per sola forza d'ingegno succede con maggior allegrezzaemolto piú nel vincer se stessoch'è la piú gloriosa vittoria che possariportarsi. Quest'avviene nel dissimularecon chedalla ragione superato ilsensosi riceve intiera quiete; ed ancorché si senta non poco dolor quando sitace quello che si vorrebbe direo si lascia di far quanto vien rappresentatodall'affettonondimeno piace poi grandemente d'aver usata sobrietà di parole edi fatti. A questa conseguenza di sodisfazzioneha da rivolger il pensiero chidisidera di viver con riposo; e ciascunche vuol ben accorgersene pergl'interessi suoivegga sopra di ciò gli altrui fallie cosí ben conosca chetanto è nostro quanto è in noi medesimi. Non dico che non si han da fidar nelseno dell'amico i segretima che sia veramente amico; ed è degno di granconsiderazionein quell'epigramma di Marzialedove parla a se stesso dellavita beatache nominando a questo fine dicisette cosefa che stia nel mezzo“prudens simplicitas”dicendo:

 

                  Vitam quae faciuntbeatiorem

             iucundissime Martialishaec sunt:

             res non parta laboresed relicta;

             non ingratus agerfocus perennis;

             lis nunquamtoga raramens quieta;

             vires ingenuaesalubre corpus

             prudens simplicitaspares amici

             convictus facilissine arte mensa;

             nox non ebriased soluta curis;

             non tristis torusattamen pudicus;

             somnus qui faciat breves tenebras;

             quod sis esse velis nihilque malis

             summum nec metuas diem nec optes.

 

Ilprudente candor dell'animo è dunque il centro della tranquillità. “Hoc opushic labor”.

 

 

XI. Del dissimulare con li simulatori

 

 

             Quelli che si applicano al piacer della parte ch'è in noi soggett'allamortesprezzando l'uso della ragionesi mutano in abito di fiere; perché talison da riputarsicome fu espresso da Epicteto stoicodicendo: “Certemisellus homuncioet caro infoelixet revera misera. At melius <etiam>quiddam habes carne; quaremisso illo et neglectocarni duntaxat es deditus?Ob huius societatem declinantes a meliore natura quidamlupis similesefficimurdum sumus perfidi et insidiosi et ad nocendum parati: alii leonibusquia feriimmanes ac truculenti: maxima vero pars vulpeculae sumus”.

                  Da che si può considerar un de' duri impedimenti nel dissimulare; poichéil guardarsi da lupi e da leoni è cosa piú pronta per la notizia che si hadella lor violenzae perché poche volte si riscontrano; ma le volpi son tranoi molte e non sempre conosciutee quando si conosconoè pur malagevole usarl'arte contra l'arteed in tal caso riuscirà piú accorto chi piú sapràtener apparenza di scioccoperchémostrando di creder a chi vuol ingannarcipuò esser cagion ch'egli creda a nostro modo; ed è parte di grand'intelligenzache si dia

aveder di non vedere

quandopiú si vedegià

checosí 'l giuoco è

conocchi che pa-

ionchiusi e stan-

noin se stessi

aperti.

 

 

XII. Del dissimulare con se stesso

 

 

                  Mi par che l'ordine di questo artificio metta prima la mano nella personapropria; ma si richiede prudenzia in estremoquando l'uomo ha da celarsi a semedesimoe questo non piú che per qualche picciolo intervallo e con licenzadel “nosce te ipsum”per pigliar una certa ricreazione passeggiando quasifuor di se stesso. Prima dunque ciascun dee procurar non solo di aver nuova di sée delle cose suema piena notiziaed abitar non nella superficiedell'opinioneche spesse volte è fallacema nel profondo de' suoi pensieried aver la misura del suo talento e la vera diffinizione di ciò ch'egli valeessendo di maraviglia che ogni uno attend'a saper il prezzo della roba sua e chepochi abbian cura o curiosità d'intender il vero valor dell'esser loro. Orpresupposto che si sia fatto il possibile di saperne il veroconviene che inqualche giorno colui ch'è misero si scordi della sua disavventurae cerchi diviver con qualche imagine almeno di sodisfazzionesí che sempre non abbiapresente l'oggetto delle sue miserie. Quando ciò sia ben usatoè un ingannoc'ha dell'onesto; poiché è una moderata oblivioneche serve di riposoagl'infelici: e benché sia scarsa e pericolosa consolazionepur non se ne puòfar di menoper respirar in questo modo; e sarà come un sonno de' pensieristanchitenendo un poco chiusi gli occhi della cognizion della propria fortunaper meglio a-

prirlidopo cosí breve risto-

ro:dico breveperché fa-

cilmentesi muterebbe

inletargose troppo

sipraticasse que-

stanegligenza.

 

 

XIII. Della dissimulazione che appartiene alla pietà

 

 

             Quando considero che il vino fu trovato dopo il diluvioconosco che nonbisognava minor quantità d'acqua per temperarlo; e qui son da veder due cose:una di Noèche ne restò ignudoe ciò ne dimostra che 'l vino è moltocontrario alla dissimulazionee quanto questa s'impiega a copriretanto quelloattende a scoprire; l'altra della pietà delli due figliche con la facciaindietro ricoprirono il padredissimulando di vederlo a tal terminequando dallor fratellogià alienato da ogni legge di umanitàera schernito ignudocolui che l'avea vestito delle proprie carni. Oh quanti son al mondo che imitanoquesta mostruosa ingratitudinefacendo materia da ridere chi lorodoverebber'esser oggetto d'amore e di reverenza! Pochi son gl'imitatori di que'due che seppero trovar il modo di volger le spalleper pietàal padrenoncome molti fannoche si lascian la paterna necessità dietro le spalle. Nonsolo que' pietosi figli si occuparono a ricoprir il padrema vollero mostrar dinon averlo veduto in tal condizione. Cosí ciascuno dee corrisponder a scusar idisordinied in particolare que' de' superioriogni volta che alcuno di lorov'incorre. Altri pietosi uffici mi si rappresentano nell'istoria di Giuseppechevenduto da' fratellimostrò poi di non conoscerlia fine di piúriconoscerli per mezzo de' benefici; econ esempio di rada mansuetudinedissimulava il dono di quegli elementi che lor in apparenza vendevaperché imedesimi sacchi ne riportavano i danari a casa; finchéfatto venir anchel'ultimo de' fratellie usati tutt'i modi di manifestar a tempo la sua benignità“non se poterat ultra cohibere Joseph multis coram adstantibus”. In questoebbe fine quella sincera ed innocente dissimulazione; e segue nel Genesia narrarsi la sua pietà: “unde praecepit ut egrederentur cuncti forasetnullus interesset alienus agnitioni mutuae. Elevavitque vocem cum fletuquamaudierunt Aegyptiiomnisque domus Pharaoniset dixit fratribus suis: - Ego sumJoseph -”. Era egli nell'Egitto con suprema gloriae già chiamato salvatordel mondo; con tutto ciònon tenendo conto dell'offesedissimulò d'esserfratelloper dimostrarsi piú che fratello. Io non so chi possa ritener lelagrimeleggendo quella pietosa istoriadalla qual si può apprender ladolcezza del perdono e del dissimular l'ingiuriee massimamente quando vengonda persone tanto care quanto son i fratelli.

 

 

XIV. Come quest'arte può star tra gli amanti

 

 

                  Amorche non vedesi fa troppo vedere. Egli è piccioloe come disseTorquato Tasso:

 

                  Picciola è l'apeefa col picciol morso

             pur gravi e pur moleste le ferite;

             ma qual cosa è piú picciola d'Amore

             se in ogni breve spazio entrae s'asconde?.

 

                  Nondimeno è pur tanto grandeche non ha luogo da potersi in tuttonasconderè quando è giunto al suo centroch'è il cuorese non si mostraper altra viaaccende quella febre amorosa della qual era infermo Antioco e diche il Petrarca fe' che dicesse Seleuco:

 

                  E se non fosse ladiscreta aita

             del fisico gentilche ben s'accorse

             l'età sua in sul fiorir era fornita.

 

             Tacendoamandoquasi a morte corse;

             e l'amar forzae 'l tacer fu virtute;

             la miavera pietàch'a lui soccorse.

 

                  Quindi si può considerar comemettendosi fuoco a tutta la casalefavilleanzi le fiammene fan publica pompa per le finestre e dal tetto. Tantoavvienee peggioquando amor prende stanza ne' petti umaniaccendendogli dadoveroperché i sospirile lagrimela pallidezzagli sguardile paroleequanto si pensa e si fatutto va vestito con abito d'amore. Cosí dunque diAntioconell'amor verso Stratonica sua matrignaancorch'egli tacessesi palesòl'incendio nelle vene e ne' polsi. Non avea consentito di chiamarsi amanteDidonementre Amor in figura di Ascanio trattava con lei; ma niuna cosamancavaperché già si vedesse accesacome Virgilio va significando:

 

                  Praecipue infelixpesti devota futurae

             expleri mentem nequitardescitque tuendo

             Phenissa et puero pariter donisque movetur.

 

             Ed ancorché andasse velando gli stimoli della piaga internanelprogresso del suo affetto

 

                  At regina graviiamdudum saucia cura

             vulnus alit venis at caeco carpitur igni

 

purquello che la lingua non avea publicatofu espresso nelle strida della piagach'ella stessa disperata si fe'conchiudendo Virgilio:

 

                  Illagraves oculosconata attollererursus

             deficit: infixum stridet sub pectore vulnus.

 

                  Di Erminia si hada Torquato Tassoche avea dissimulato il suopensieroe ch'ella poi disse a Vafrino:

 

                  Male amor sinasconde. A te sovente

             desiosa i' chiedea del mio signore.

             Vedendo i segni tu d'inferma mente:

             - Erminia - mi dicesti - ardi d'amore. -

             Io te 'l negaima un mio sospiro ardente

             fu piú verace testimon del core;

             e 'n vece forse della linguail guardo

             manifestava il foco onde tutt'ardo.

 

                  Il medesimo dolor che tormenta gli amantise non bast'a far che dicano iloro affettisi muta in ambizione amorosa di dimostrarli; e se gli animi onestisi contentano di non manifestarsicon gran fatica si riducono a portar intieroil manto che ha da coprir tanti affanni.

 

 

XV. L'ira è nimica della dissimulazione

 

 

                  Il maggior naufragio della dissimulazione è nell'irache tra gliaffetti è 'l piú manifestoessendo un baleno cheacceso nel cuoreporta lefiamme nel visoe con orribil luce fulmina dagli occhi; e di piú fa precipitarle parolequasi con aborto de' concetti chedi forma non intieri e di materiatroppo grossamanifestano quanto è nell'animo. Molta prudenza si richiedeperrinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a tanto impetodisse Platone: “tanquam canis a pastoreita denique revocatus ab ea quae inipso est ratione mitescat.” Era Achille in questa passione contra Agamennonequando “truculento intuens aspectu: - O vir - inquit - ex dolo totus atqueimprudentia factus ac genituset quis tibi Graecorum posthac libens pareat?-”. Ma l'ufficio della ragionesignificata per Minerva scesa dal cielovatemperando: “ - Non venit - inquit - a caeloAchillesut te iratum inultionem iniuriae acceptae erumpere videamsed ut ira<cundia>m tuamcompescam -”. Sí che Omeroin questa occasione di Achillespiega insiemequanto importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenzadi parole nell'iracioè dal dispiacere e dal piacereperché ella èappetitocon doloredi far vendetta che si dimostri vendettaper dispregioche crediamo fatto di noio d'alcuno de' nostriindegnamentecome disseAristotile; ed a questo dolor segue il dilettoche nasce dalla speranza divendicarsie perché l'animo è in atto di vendetta: e però Aristotelesoggiunse: “recte illud de ira dictum est quoddefluente melle dulciorinvirorum pectoribus gliscit”. Dunqueda cosí fatto misto di amaro e di dolcedee guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbatocome sogliono parergl'infermii poveri e gli amantie tutti quelli che si fan vincer daldisiderio. Importa il prevenir con la considerazione di quanto è maggiordiletto vincer se stessoin aspettar che passi la procella degli affettie pernon deliberare nella confusione della propria tempesta; ma nel sere-

nodell'animo cheritirato

ognipensiero nell'altissi-

maparte della mente

potràsprezzar molte

coseo non curar

divederle.

 

 

XVI. Chi ha soverchio concetto di se stesso ha gran difficultà didissimulare

 

                  L'error che si può far nel compassoil qual si gira nell'opinion di noistessisuol esser cagion che trabocchi ciò che si dee ritener ne' termini delpetto; perchéchi si stima piú di quello che in effetto èsi riduce aparlar come maestroe parendogli che ogni altri sia da men di luifa pompa delsaperee dice molte cose che sarebbe sua buona sorte aver taciuto. Pitagorasapendo parlareinsegnò di tacere; ed in questo esercizio è maggior faticaancorché paia d'esser ozio. I concetti che risuonano nelle parolenon soloportano l'imagine di quelli che stanno nell'animoma son fratelli mentali (giàche non posso dir carnali) del concetto che l'uomo ha del suo sapere. Questo èil concetto primogenito (per dir cosí)al qual succedono gli altri; e se nonè con misurane procedono molti e vari ragionamentie di necessità però siscopre quanto è nel pensiero; ma chi di sé fa quella stima che di ragionconvienenon commette alla lingua maggior giuridizzione di quanto è il lumedell'intelligenzia che la dee muovere.

 

 

XVII.Nella considerazione della divina giustizia si facilita il tollerare però ildissimular le cose che in altri ci dispiacciono

 

 

                  Convien di trattar di alcune cose piú in particolareche ricercanod'esser tolleratech'è lo stesso a dir dissimulatepoiché sono molt'idispiaceri dell'uomo ch'è spettator in questo gran teatro del mondonel qualsi rappresentano ogni dí comedie e tragedie; ed or non dico di quelle che soninvenzioni de' poeti antichi o modernima delle vere mutazioni del mondostessoche da tempo in tempoin quanto agli accidenti umaniprende altrafaccia ed altro costume. L'ordine è forma che fa il tutto simigliante a Dioche lo creò e lo serba col dono della sua providenzala qual per lo gran mardell'essere ogni cosa conduce con prospero viaggio; e disponendo la medesimaregola sopra il merito o demerito delle opere umanesi vieta nondimeno alladebolezza de' nostri pensieri il passar negli abissi de' consigli divinialliquali si dee infinita riverenzaavendosi da ricever per giusto quanto consònaalla volontà di Dio. E se pur sempre non vediamo nelle cose mortaliquell'ordine infallibile che si manifesta nel moto del soledella luna edell'altre stelleanz'in molta confusione spesse volte si truovano i negozii diqua giúnon manca però la certezza dell'eterna leggeche tutto sa applicarad ottimo fine; e 'l premio e la penache non sempre vien prontasi aspetticome decreto inseparabile dal giudizio divinoche per tutto va penetrando conla sua non mai limitata potenzia. A questa veritàch'è via di quieteperdissimular le sinistre apparenzesoggiungerò piú distinto il modo diaccommodarsi a quelle.

 

 

XVIII. Del dissimular l'altrui fortunata ignoranzia

 

 

                  Gran tormento è di chi ha valoreil veder il favor della fortunainalcuni del tutto ignoranti; che senz'altra occupazioneche di attender a stardisoccupatie senza saper che cosa è la terra che han sotto i piedisontalora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si mette aconsiderar questa miseriaè in pericolo di perder la quietese insieme nons'accorge che la medesima fortunache talora fa qualche piacere alla turbadegli sciocchisuol abbandonar l'impresae quando piú lucesi rompelasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gentedi questa qualitànon ha che pretender per l'acquisto di quella gloriachesolamente appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di eccellente virtúalcuna volta sta quasi sepellito vivoin ogni modo si ha da udir il grido delsuo merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono nel medesimotempoma se ne va passando da un secolo all'altro; perché il vero valor è

 

                  che fa per fama gliuomini immortali

 

comedisse il Petrarca; e prima di lui Dante:

 

                  vedi se far si deel'uomo eccellente

             sí ch'altra vita la prima relinqua.

 

Diquesta maniera si libera il nome dalle mani della morte

 

edun'anima piena di cosí alta

speranzanon sente noia che

aqualche indegno e da

pocoper poco temposi

facciaapplausoes-

sendoun salto di

fortunache se

nepassa senza

lasciarve-

stigio

comeil fumo

nell'aria.

 

 

XIX. Del dissimular all'incontro dell'ingiusta potenzia

 

 

                  Orrendi mostri son que' potentiche divorano la sostanza di chi lorsoggiace; onde ciascunoche sia in pericolo di tanta disaventuranon hamiglior mezzo di rimediarche l'astenersi dalla pompa nella prosperitàedalle lagrime e da' sospiri nella miseria; e non solo dico del nasconder i beniesternima que' dell'animo; onde la virtúche si nasconde a tempovince sestessaassicurando le sue ricchezzepoiché il tesoro della mente non ha menbisogno talora di star sepoltoche il tesoro delle cose mortali. Il capo cheporta non meritate coroneha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; eperò spesso è virtú sopra virtúil dissimular la virtúnon col velo delvizioma in non dimostrarne tutt'i raggiper non offender la vista infermadell'invidia e dell'altrui timore. Anche lo splendor della fortuna ha da essercauto nel palesarsigià chepassando a dimostrazioni di soverchi arnesi e dioziosi ornamentioltre al distrugger il capital nelle spesesuol accender granfuoco nella propria casadestando gli occhi degl'ingordi a pretenderne parteeforse il tutto. Ma piú dura è la fatica di dover pigliare abito allegro nellapresenza de' tiranniche soglion metter in nota gli altrui sospiricome diDomiziano disse Tacito: “Praecipua sub Domitiano miseriarum pars erat videreet aspicicum suspiria nostra subscriberenturcum denotandis tot hominumpalloribus sufficeret saevus ille vultus et rubora quo se contra pudoremuniebat”. Sí che non è permesso di sospirarequando il tiranno non lasciarespiraree non è lecito di mostrarsi pallidomentre il ferro va facendovermiglia la terra con sangue innocentee si niegano le lagrime che dallabenignità della natu-

rason date a' miseri come

propriadoteper formar

l'ondache in cosí pic-

ciolestille suol por-

tarvia ogni

gravenoia e la-

sciaril cuorse

nonsanoal-

mennon

tanto

oppresso.

 

 

XX. Del dissimular l'ingiurie

 

 

                  L'ingiuriache si può dissimularee nondimeno si manifesta neldisiderio della vendettaè fatta piú da colui che la riceve che dal suonimico. Non tutti sanno ben conoscer il decoro dell'onesta tolleranziain chesi accordano tutt'i filosofiche per altre opinioniin varie settenon son diconforme pareredicendo Tertulliano: “tantum illi subsignantut cum interse<se> variis sectarum libidinibus et sententiarum aemulationibusdiscordentsolius tamen patientiae in com<m>une memoreshuic unistudiorum suorum commiserint pacem: in eam conspirantin eam foederanturilliin adfect<at>ione virtutis unanimiter studentomnem sapientiaeostentationem de patientia praeferunt”. Alcuninon distinguendo la fortezadal temerario ardireson pronti ad ogni qualità di vendettae per un cennoche non sia fatto a lor modovogliono penetrar negli altrui pensieri edolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri son vicini ad estremimalie l'esperienza dimostra che le picciole ingiuriese non si lascian passarsotto qualche destrezzasogliono diventar grandi; ed a tutti color che sonpotentimolto piú convien di ritirar la vista da simili occasioni: perchéogni un che possa pocoè buon maestro a' suoi pensieriper accommodarsi atollerare; ma chi ha forza di risentirsisente stimolo di correr a precipizioe molti di questi che stanno in alta fortunascordati non solamente di usarperdonoma della proporzion della penaprendono mezzi violenti per l'altruiruina; da che avviene ch'essi pur rimangono in tanta turbazione de' fatti lorocheoltre all'odio publicoson anche in odio a se medesimiper la perditadella quiete internach'è bene inestimabile ed appartiene all'innocenzia.

 

 

XXI. Del cuor che sta nascosto

 

 

                  Gran diligenza ha posta la natura per nasconder il cuorein poter delquale è collocatanon solo la vitama la tranquillità del vivere: perchénello star chiusoper l'ordine naturale si mantiene; e quando gli occorre distar nascostoconforme alla condizion moraleserba la salute delle operazioniesterne. E pur in questo modonon a tutti si dee nasconder; ondenell'elezzionesi consideri quello che fu detto da Euripide:

 

                               <...> Sapienti diffidentia

             non alia res utilior est mortalibus.

 

                  L'esperienzache si suol doler degl'ingannipotrà far luce in questamateriach'è una selva oscura per l'incertezza del ben eleggere; e però ogniingegno accorto vagliasi degli abissi del cuorech'essendo breve giroècapace d'ogni cosa; anz'il mondo intiero non lo riempiepoiché solo il Creatordel mondo può saziarlo. Si ammiracome grandezza degli uomini di alto statolo starsi ne' termini de' palagied ivi nelle camere segretecinte di ferro edi uomini a guardia delle loro persone e de' loro interessi; e nondimeno èchiaro chesenza tanta spesapuò ogni uomoancorch'esposto alla vista dituttinasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suocuoreperché ivi soglion esser quei templi serenide' quali cantò Lucrezio:

 

                  sed nihil dulciusestbene quam <munita> tenere

             edita doctrina sapientium templa serena

             despicere unde queas alios passimque videre

             errare atque viam palantes quaerere vitae.

 

                  Applicando io però questi versi al senso che conviene a significarun'altezza d'animoed una quieteche conduce al piacer ed alla gloriaimmortalee non al diletto fallace.

 

 

XXII. La dissimulazione è rimedio che previene a rimuover ogni male

 

 

                  Era tanto stimata da Giob la dissimulazione onesta chenon avendolasciato di valersene nel suo regnopoi che si vide privo di prosperitàparendogli di aver fatto assai dalla parte sua perché non gli fosse cadutadalle manidisse:

 

                  Nonne dissimulavi?nonne silui? nonne quievi?

             et venit super me indignatio.

 

                  Egli con tranquillità governò il suo statoe sempre che potettedissimularlo fe' volentieri; e però s'era persuaso che non avesse da seguirmutazione nelle cose sueben assicurate dalla prudenziache in sé raccoglievadissimulazionesilenzio e quiete. Ma se con tutto ciò cadde in miseriafuvoler di Dioche si compiacque di far vedere nella persona di quel santo unainvitta costanza e 'l trionfo della pazienziache nel carro della vera gloriasi menò appresso come catenati tutt'i malifin ch'egli ebbe la prístinafelicità con duplicate sodisfazzioni; e quella sua giustiziache nel terminedella semplice natura si dimostrò al mondosarà esempio in tutt'i secoli peraffermare che i servi di Dioin ogni condizioneson sempre beati. Dunque Giobera taleanche nel tempo de' suoi tormenti; ma per non uscir dalla materia diche vo trattandodico ch'eglifacendo il conto con la sua conscienziadicea:“Nonne dissimulavi? nonne silui? nonne quievi?”volendo significar che aquesta diligenza non suol mancar piacer alcuno; e quando succede qualcheaccidente che perturbi tanto serenovuol il cielo chedopo l'avversitàsiaccresca splendor agli animi che son alieni dagli affetti della terra.

 

 

XXIII. In un giorno solo non bisognerà la dissimulazione

 

 

                  È tanta la necessità di usar questo veloche solamente nell'ultimogiorno ha da mancare. Allora saran finiti gl'interessi umanii cuori piúmanifesti che le frontigli animi esposti alla publica notiziaed i pensieriesaminati di numero e di peso. Non averà che far la dissimulazione tra gliuominiin qualunque modo si siaquando Iddioche oggi “est dissimulanspeccata hominum”non dissimulerà piú; ma poste le mani al premio ed allapenametterà termine all'industria de' mortalie que' sagaci intellettichehanno abusato il proprio lumesi accorgeranno come allora non gioverà l'artedel cucir la pelle della volpe dove non arriva quella del leoneche fuconsiglio di un re spartano: perché l'onnipotente Leonefacendo ruggir ilmondo dagli abissi fin alle stellechiamerà tutti; e ciascuno dee saper e dire“circumdabor pelle mea”come disse Giob. Quell'aurora porterà un giornotutt'occupato dalla giustiziae nel mostrar i continon vi sarà arte da farvedere il bianco per lo nero. S'udirà il decretoche sarà l'ultimo delleleggie darà legge eterna alle stelle ed alle tenebreal piacer ed alla penaalla pace ed alla guerra. Sarà forz'alla dissimulazione di fuggirsene in tuttoquando la verità stessa aprirà le finestre del cielo econ la spada accesatroncherà il filo d'ogni vano pensiero.

 

 

XXIV. Come nel cielo ogni cosa è chiara

 

 

             Se per questa vita in un giorno solo non bisognerà la dissimulazionenell'altra non occorre mai; e lasciando di trattar delle anime infelici checonla luce del fuoco eternoanzi nelle tenebremostrano gli orribili mostri de'peccatidirò dello stato delle anime eternamente felici. Ivi hanno lospecchioch'è Iddioil qual vede tuttoe ben nella lingua greca il suo nomecome osservò Gregorio Nissenodimostra efficacia di vedereperché theósviene a theáomech'è mirare e contemplare. Veggono i beati colui chevedesí che nel cielo non occorre che alcuno si celi. Ivi tutto è manifestoperché tutto è buonotutto è chiarotutto è caro. Quanti piú sono apossedere il sommo benetanto piú son ricchi. Dov'è tanto amornon puòsuccedere occasion di custodire interesse alcuno. Ma quidove siamo vestiti dicorruzzionesi procura con ogni sforzo il mantocon che si dissimula perrimedio di molti mali; ed ancorché ciò sia onestopur è travaglio; onde sidee aspirar al termine di questa necessitàe spessorimovendo lo sguardodagli oggetti terrenivagheggiar le stelle come segni del vero lume cheancheper mezzo d'essec'invita alla propria stanza della verità. Ivinella divinaessenzai beati godono della chiara vistach'è l'ultima beatitudinedell'uomoessendo la piú alta operazione dell'intellettoper mezzo del lumedella gloria che lo conforta; perch'essendo la divina essenza sopra lacondizione dell'intelletto creatopuò questi vederlanon per forze naturalima per grazia; e come uno ha maggior lume di gloria dell'altrocosí puòmeglio conoscerlaancorché sia impossibile vederla quanto è visibileperchéil medesimo lume della gloriain quanto è dato a tal intellettonon èinfinito. Orconsiderando cosí sodisfatti

cosífelicied in eterno sicuri

gliabitatori del Paradi-

sosi vede come non

handa nasconder di-

fettoalcuno; e per

conseguenzala

dissimulazio-

nerimane

inter-

ra

doveha tutti

isuoi ne-

gozii.

 

 

XXV. Conclusione del trattato

 

 

                  Avendo affermato che in questa vita non sempre si ha da esser di cuortrasparentemi par bene di conchiuder con affettuoso rivolgimento alladissimulazione stessa.

                  Oh virtúche sei il decoro di tutte l'altre virtúle quali allora sonpiú belle quando in qualche modo son dissimulateprendendo l'onestà del tuoveloper non far vana pompa di se medesime. Oh rifugio de' difettiche nel tuoseno si sogliono nascondere. Tu alle fortune grandi sei di gran servigiopersostenerleed alle picciole porgi la manoperché in tutto non si vegganoandar per terra. Nel buono e nel mal tempo bisognano le tue vestie nella nottenon meno che nel giornoe non piú fuori che in casa. Io non ti conobbi pertempoed a poco a poco ho appreso che in effetto non sei altro che arte dipazienziache insegna cosí di non ingannare come di non essere ingannato. Ilnon creder a tutte le promesseil non nudrire tutte le speranzeson le coseche ti producono. Le porporenel meglio del lor vermigliosogliono ricorrereal nero del tuo manto; le corone d'oro non han luce che talora non abbia bisognodelle tue tenebre. Gli scettriche spesse volte non si portano dalla tua manofacilmente vacillano; e 'l folgore delle spadese non si serve di alcuna tuanuberiluce invano. La prudenzatra ogni suo sforzonon ha miglior cosa dite; e benché di molte altre si mostri ornataa tempo sa goder del tuosilenziopiú che di ogni altro effetto delle sue industrie. Misero il mondose tu non soccorressi i miseri. A te appartiene di usar molti ufici nell'ordinarle republichenell'amministrar la guerrae nel conservar la pace; e dall'altraparte si veggono quanti disordiniquante perdite e quante ruvine son succedutequando sei stata posta in abbandono e s'è dato luogo a manifesti furorida cheson seguíti quegl'infortunii che tante volte han diturpate le provincieintiere. Quando unche doverebbe perire di fameha fortuna di poter dar ilcibo a moltiquando un ignorante è riputato dotto da chi sa meno di luiquando un indegno ha qualche degnitàe quando un vile si tiene per nobilecome si potrebbe vivere se tu non accommodass'i sensi a cosí duri oggetti?Vorrei che mi fosse permesso di manifestare tutto l'obligo che ho a' beneficiche mi hai fatti; ma invece

direnderti grazieoffen-

dereile tue leggi non

dissimulandoquan-

toper ragione ho

dissimulato.